
Quando si parla di vino, la solforosa è spesso sul banco degli imputati. Ma come stanno realmente le cose? Cerchiamo di mettere a fuoco cosa sono i solfiti, come vengono usati nella produzione del vino e come sono presenti negli altri alimenti.
I solfiti sono sostanze chimiche costituite da zolfo. Tra i composti più diffusi ci sono: l’anidride solforosa, il bisolfito di potassio e il bisolfito di sodio. Sono utilizzati abitualmente come antisettici-antiossidanti e conservanti.
Nel vino è sempre presente una piccola percentuale di anidride solforosa. Infatti, l’anidride solforosa è un prodotto secondario della fermentazione alcolica, ovvero di quella fase della vinificazione in cui gli zuccheri vengono trasformati in alcol dall’azione dei lieviti. Da questa considerazione, discende il fatto che non si può parlare di vini senza solfiti, ma semmai di vini senza solfiti aggiunti.
Quando si discute di vino e solforosa, è quindi più corretto fare riferimento ai solfiti che vengono aggiunti durante il processo di vinificazione. Nel momento in cui l’uva arriva in cantina e viene avviata la fermentazione, può essere aggiunta della solforosa per inibire l’ossidazione degli acini e dei mosti, limitando l’azione dei batteri e favorendo la corretta selezione dei lieviti. Successivamente la solforosa può essere impiegata per proteggere e conservare il vino, durante i travasi o al momento finale dell’imbottigliamento.
L’affermarsi di una maggiore sensibilità dei consumatori e dei produttori e lo sviluppo delle più moderne tecnologie e pratiche di cantina, stanno tuttavia portando a un utilizzo sempre minore della solforosa, soprattutto per la produzione di vini di qualità.
Se le uve arrivano velocemente in cantina, sane e intatte e i locali sono igienicamente perfetti, si riduce al minimo il rischio di proliferazione di batteri e lieviti indesiderati durante la delicata fase di avvio della fermentazione. Anche la possibilità di poter controllare con la massima esattezza la temperatura dei mosti contribuisce a favorire una fermentazione senza necessità di ulteriori interventi. Si può così effettuare tutta la fase di vinificazione senza alcuna aggiunta di solforosa o con una percentuale veramente minima e quasi impercettibile.
Nelle cantine moderne, anche le operazioni di travaso, possono essere ormai completate senza rischi per il vino e senza aggiunta di additivi. Con un processo di vinificazione rigoroso e attento, l’utilizzo della solforosa può essere estremamente limitato o addirittura non avvenire del tutto in tutte e tre le fasi in cui solitamente vengono aggiunti:
- Fermentazione;
- Travaso;
- Imbottigliamento.

Ma cosa prevede la legge in relazione alle quantità di solfiti? Il Regolamento CE n°606/2009 ha indicato il limite massimo di solfiti in 150mg/l per i vini rossi e 200 mg/l per i vini bianchi, che si elevano rispettivamente 200 e 250 mg/l per i vini dolci. La legge prevede poi deroghe per alcune tipologie di vino e particolari necessità legate all’andamento dell’annata in specifiche regioni di produzione. Nel famoso Sauternes, si può arrivare anche a 400 mg/l. I produttori sono obbligati a dichiarare in etichetta la presenza di solfiti quando superano i 10mg/l, praticamente sempre, se consideriamo che durante la fase di fermentazione si crea naturalmente una piccola percentuale di solforosa. Il vero problema è che non possiamo sapere dall’etichetta quale sia l’esatta quantità di solfiti presenti nel vino, potrebbero essere 11mg/l o 200mg/l. Dobbiamo solo fidarci di quanto conosciamo dei singoli produttori. Sarebbe auspicabile l’introduzione dell’indicazione obbligatoria della quantità di solfiti aggiunti, in modo da poter dare al consumatore maggiori elementi per scegliere consapevolmente. In ogni caso, dobbiamo diffidare delle bottiglie che appena aperte hanno odori pungenti di zolfo, sentori di uova marce, aglio o di forte riduzione, tutti indicatori di alta concentrazione di solforosa.
Oggi è di grande attualità parlare di Vini Biologici o Naturali, proprio in relazione alla solforosa. In realtà i Vini Biologici possono contenere solfiti, anche se con limiti inferiori. Il Regolamento CE 203/2012 indica le quantità ammesse in 100 mg/l per i rossi e di 150 mg/l per bianchi e rosati. Per i vini dolci le soglie possono essere aumentate di 30 mg/l. I vini Naturali, invece, non sono regolamentati da una legge, ma da disciplinari delle singole associazioni a cui aderiscono i vari produttori. Ogni disciplinare è però diverso dall’altro, anche se tendenzialmente tutti i Vini Naturali contengono pochissima solforosa. Una situazione che tuttavia non aiuta il consumatore a orientarsi. Sarebbe bene definire le norme con una regolamentazione di carattere generale, che faccia finalmente chiarezza.
Certamente la solforosa presenta profili di tossicità, ma non è più dannosa di altri solfiti o aditivi generalmente utilizzati in campo alimentare. Ecco le sigle più diffuse, che indicano la presenza di solfiti nei prodotti che portiamo in tavola, spesso senza preoccuparci troppo: E220 Anidride Solforosa, E221 Sodio Solfito, E222 Bisolfito di Sodio, E223 Sodio Disolfito, E224 Potassio Disolfito, E226 Calcio Solfito, E227 Calcio Bisolfito Acido, E228 Bisolfito di Potassio. Per quanto riguarda i prodotti preconfezionati, i produttori sono tenuti a indicare in etichetta il nome o il codice identificativo del solfito. Nei prodotti freschi, invece, non è
obbligatorio segnalare né la presenza né la quantità. La quantità massima
consentita varia a seconda dell’alimento in base ai Regolamenti CE. Indichiamo di seguito, a solo titolo esemplificativo e non esaustivo, alcune famiglie di prodotti che contengono solfiti, in modo da poter avere un termine di paragone rispetto al vino.
Birra (50 mg/l), biscotti secchi (50 mg/kg), crostacei (150 mg/kg), stoccafisso e
baccalà (200 mg/kg), senape (250 mg/kg), snack a base di patate e cereali (50 mg/kg), concentrati di frutta (250 mg/l), frutta secca con guscio (100 mg/kg), albicocche, pesche, uvetta, prugne, fichi secchi (2000 mg/kg), frutta candita (100 mg/kg), funghi secchi (100 mg/kg), confetture e marmellate (50 mg/kg). Nei prodotti a base di carne, i quantitativi possono salire anche 450 mg al kg.
In generale i solfiti possono causare una minor capacità di assorbimento della vitamina B1, fenomeni d’ipersensibilità (soprattutto in soggetti che soffrono d’asma) o reazioni allergiche, in soggetti particolarmente sensibili ai loro componenti. Quanto al famoso mal di testa, se i solfiti fossero gli unici responsabili, dovremmo soffrirne anche quando mangiamo molti dei prodotti alimentari sopra citati, che ne contengono percentuali anche più elevate. Sicuramente la solforosa contenuta nel vino è una concausa, ma non è sempre e solo, l’unica responsabile delle cefalee. Ovviamente stiamo sempre parlando di quantità moderate.
A proposito di quantità, cosa dicono gli studi scientifici in merito? L’Organizzazione Mondiale della Sanità ha indicato in 0,7 mg per chilo di peso corporeo, la quantità massima giornaliera di solforosa. Stiamo quindi parlando di una dose giornaliera tollerabile di circa 40/50 mg.
La strada da seguire dovrebbe portare a un progressivo abbassamento delle percentuali consentite. Un uso moderato e responsabile della solforosa contribuisce a stabilizzare e conservare il vino nel tempo. Mantiene inalterate le sue caratteristiche e le sue qualità. Si possono anche produrre vini senza l’aggiunta di solfiti, soprattutto rossi o bianchi macerati, sfruttando il corredo di polifenoli come protezione naturale, pur con qualche rischio in più sullo stato di conservazione nel tempo. Come consumatori, cerchiamo di essere sempre più informati e consapevoli, impariamo a bere bene, con moderazione, privilegiando i prodotti di qualità. Prestiamo attenzione anche alle etichette degli altri alimenti che consumiamo. Come abbiamo visto, i solfiti sono presenti in molti prodotti alimentari e con concentrazioni ben superiori rispetto al vino. Quindi, attenzione e consapevolezza, ma senza demonizzare.