Cosa significa vino IGT, DOC e DOCG?

Grapes harvest. Farmers hands with freshly harvested black grapes.

Come nasce esattamente una denominazione? È una domanda che sorge spontanea se si pensa alla vastità di vini IGT, DOC e DOCG del panorama enologico italiano. E cosa indicano dunque queste sigle?

È fondamentale saperlo sia per avere a disposizione le informazioni necessarie prima di effettuare un acquisto, sia per conoscere il lungo percorso che un vino deve attraversare per ottenere una specifica certificazione.

La politica dell’UE

Partiamo con il dire che la produzione di vino italiano deve fare riferimento alle regolamentazioni imposte dalla Commissione Europea, dal momento che l’Italia fa parte dell’Unione Europea e quest’ultima è il maggiore produttore di vino a livello mondiale.

Il mercato enologico ha subìto un grande sviluppo dagli anni ’60, periodo in cui nacque la prima organizzazione comune dei mercati. Nel 2013 sono stati posti nuovi obiettivi per questo settore, quali rendere più competitivi i produttori di vino e i vini europei, semplificare e chiarire le regole di mercato, preservare le tradizioni rafforzandone il ruolo sociale. Nel 2013 sono anche state introdotte nuove misure per regolamentare le aree vitate europee e misure a loro sostegno che i produttori possono sfruttare.

La politica dell’UE è quella di proteggere le denominazioni di ciascun paese e promuoverne le caratteristiche uniche in tutto il mondo. A fronte di ciò, il Ministero delle Politiche Agricole, Alimentari e Forestali (MIPAAF), nel 2012, ha trasmesso alla Commissione Europea tutti i disciplinari definitivi delle Denominazioni di Origine dei Vini Italiani. A partire da quel momento ogni nuova denominazione deve essere sottoposta ad analisi da parte della Comunità Europea prima di essere approvata e immessa sul mercato del vino (OCM Vino).

Relativamente al vino, il DM 61 dell’8 aprile 2010 afferma che, per far sì che un prodotto ottenga le menzioni specifiche tradizionali IGT, DOC e DOCG, la domanda specifica per la sua protezione deve essere rivolta alla Commissione UE da un gruppo di soggetti legittimati alla presentazione di tale e che essa rispetti “la procedura nazionale e comunitaria previste dal regolamento europeo (regolamento (CE) n. 1234/2007 e dal regolamento (CE) applicativo n. 607/2009)”.

I produttori devono dunque riunirsi in una associazione o in un consorzio per poter presentare legittimamente tale richiesta. Possono farne parte produttori privati così come cantine sociali o soggetti pubblici, a patto di rappresentare gli interessi della denominazione in questione e di avere tra i propri scopi la registrazione del prodotto.

Tale associazione presenta la domanda in Regione. Dopo 60 giorni viene convocato il Comitato Vitivinicolo per provvedere alla pubblicazione della domanda – che dovrà essere conforme alla legge 61, 2010 della “Nuova OCM Vino” – sul Bollettino Ufficiale delle Regioni.

Se l’esito della richiesta è positivo, essa viene trasmessa al Ministero (MIPAAF) che a sua volta ne verificherà le generalità, convocherà una riunione di accertamento e in seguito all’approvazione pubblicherà la suddetta domanda sulla Gazzetta Ufficiale. Dopodiché raggiungerà la Commissione Europea e la relativa Gazzetta Ufficiale della Comunità Europea.

Il Comitato Nazionale Vini si occuperà della stesura del disciplinare, che deve poi essere approvato con decreto ministeriale. Il Comitato nazionale vini DOP e IGP è un Organo del Ministero che con la nuova OCM vitivinicola è responsabile della procedura preliminare nazionale in merito ai disciplinari delle DOP e IGP dei vini da presentare alla Commissione UE per l’approvazione.

a beautiful vineyard of Greco di Tufo wine, an excellent Italian white wine

I disciplinari IGT, DOC, DOCG

Entrando nel dettaglio, dunque, vediamo che nei disciplinari sono elencati:

–   Le zone geografiche di produzione

–   I vitigni consentiti (base ampelografica del vino)

–   La tipologia del terreno di coltivazione dell’uva

–   La resa dell’uva in vino (per evitare l’eccessivo sfruttamento della vite)

–   Le tecnologie di produzione e di invecchiamento

–   Le caratteristiche del prodotto finito (acidità, estratto secco, gradazione alcolica minima, peculiarità organolettiche)

–   Le eventuali qualificazioni del vino al momento della commercializzazione

Le  denominazioni dei vini italiani sono quindi le seguenti:

IGT (Indicazione Geografica Tipica)

Questa categoria racchiude aree di produzione piuttosto estese e spesso identifica un’intera regione.

I vini possono riportare sull’etichetta, oltre all’indicazione del colore, anche la composizione del o dei vitigni utilizzati. A differenza di ciò che erroneamente talvolta si pensa, i vini IGT non rappresentano vini dal profilo medio/basso. Al contrario, molti dei vini più apprezzati e riconosciuti a livello internazionale, rientrano in questa categoria. L’esempio più lampante è quello dei famosi Supertuscans. Questi sono ottenuti da miscele di uve internazionali e che per questo non rientrano in quel concetto di tipicità rappresentato dai vini DOC e DOCG.

DOC (Denominazione di Origine Controllata)

Definisce aree geografiche ristrette nelle quali la produzione di vino è legata alle tradizioni e alla storia del luogo, oltre che a elevati livelli qualitativi. I vini classificati come DOC devono essere sottoposti ad adeguati controlli per verificarne le proprietà organolettiche e le caratteristiche fisico-chimiche. I relativi disciplinari di produzione fissano parametri produttivi piuttosto rigidi.

Grapes harvest. Farmers hands with freshly harvested black grapes.

DOCG (Denominazione di Origine Controllata e Garantita)

Occupano il punto più alto della piramide. Viene riconosciuta a vini già DOC da almeno 5 anni e vale quanto detto per i vini DOC, ma con ulteriori restrizioni geografiche. I vini prodotti nelle aree previste da una DOCG devono dimostrare di avere caratteristiche uniche e distintive rispetto ai vini appartenenti alla categoria precedente. Su queste caratteristiche incidono fattori naturali, umani, storici che ne aumentino il valore qualitativo e commerciale, a livello nazionale ed internazionale.

I vini DOCG saranno inoltre sottoposti da parte di una commissione specifica ad assaggi per un’ulteriore analisi sensoriale. Se non fosse superata precluderebbe il riconoscimento del marchio DOCG.

DOC e DOCG sono le menzioni specifiche che rientrano nella sigla VQPRD (Vini di Qualità Prodotti in Regioni Determinate) già prevista dalla Comunità Europea.

Sulle etichette possiamo inoltre trovare le seguenti indicazioni:

Classico: si riferisce a vini prodotti nella zona più antica e più vocata all’interno di una denominazione.

Superiore: indica vini con un grado in più rispetto al titolo alcolometrico base previsto dalla denominazione.

Riserva: comporta un periodo di affinamento più lungo rispetto al periodo minimo fissato per quella denominazione.

Ad oggi in Italia, le DOCG totali sono 76, mentre le DOC 331.

Le denominazioni in comune tra più regioni vengono conteggiate una sola volta. Ma questo numero è in costante monitoraggio e aggiornamento, poiché sono molte le nuove entrate nel palinsesto e le denominazioni che nel tempo hanno ottenuto il riconoscimento successivo.

Passando al concetto del Vino Biologico, che per l’appunto più che una certificazione di qualità è una certificazione di processo, si tratta di un concreto modello di sviluppo sostenibile basato innanzitutto sulle teorie di Rudolf Steiner. Egli fu uno studioso austriaco, teosofo e creatore del concetto dell’antroposofia, successivamente sul rispetto dell’ambiente, sulla salvaguardia delle risorse naturali e sul concetto di ‘salute’, inteso in un processo circolare, che coinvolge uomo, animali e ambiente.

Negli ultimi anni la diffusione della certificazione biologica in agricoltura ha reso possibile un consumo più consapevole. Contribuisce anche all’utilizzo di quantità di prodotti chimici più ‘ragionata’, con positivo impatto sull’ambiente.

Per quanto riguarda i disciplinari di riferimento, la Commissione Europea ha adottato diversi regolamenti per l’attuazione dei regimi di qualità nel settore vitivinicolo a partire dal regolamento di esecuzione UE n. 203 del 2012 con il quale si integrava il regolamento CE n. 889/2008, con prescrizioni specifiche per la produzione di vino biologico. Attualmente le aziende biologiche dell’Unione devono attenersi al regolamento europeo 848/2018 del 30 maggio 2018 relativo alla produzione biologica e all’etichettatura dei prodotti biologici e che abroga il regolamento (CE) n. 834/2007 del Consiglio UE.

Il disciplinare prevede per le cantine una serie di indicazioni e restrizioni rigorose soprattutto per la campagna, ma anche per la pratica enologica. Riguardano in particolare i trattamenti termici, l’utilizzo di fertilizzanti, l’utilizzo di solfiti, la desolforazione dei mosti, la dealcolazione, il trattamento per elettrodialisi etc.

La produzione vitivinicola biologica è disciplinata dall’Art. 18 e alla sezione VI dell’allegato II della normativa contenuta nel Reg. EU 848/2018: Normativa di Riferimento per la Produzione di Vino Biologico e all’etichettatura dei prodotti biologici e che abroga il regolamento (CE) n. 834/2007 del Consiglio, e al Regolamento di esecuzione (UE) 2020/464 della Commissione del 26 marzo 2020 che fissa talune modalità di applicazione del regolamento (UE) 2018/848 del Parlamento europeo e del Consiglio riguardo ai documenti necessari per il riconoscimento retroattivo dei periodi di conversione, alla produzione di prodotti biologici e alle informazioni che gli Stati membri sono tenuti a trasmettere.

Regolamenti di produzione per i Vini Naturali

Troviamo opportuno inoltre affrontare l’argomento dei cosiddetti ‘vini naturali’, anche per eliminare eventuali incertezze a riguardo.

Innanzitutto il termine, perché ‘Vini naturali’, identifica più una comunità di intenti che non un disciplinare. Chiaro, si parte da un approccio almeno biologico e/o biodinamico. Pratiche le quali, nonostante le recenti polemiche legislative, rimangono senza normazione in vigna, ma in contemporanea c’è una rilettura dei disciplinari, perché non si punta tanto alla certificazione quanto a garantire un prodotto il meno ‘manipolato’ possibile.

Si può quindi affermare, che il vino naturale è quel vino che nasce da una somma di attività, sia di vigna che di cantina, che partendo da un approccio quantomeno biologico si muovono nella direzione del minor interventismo possibile.

Quindi rifiuto totale della chimica di sintesi in ogni fase della lavorazione – pesticidi, erbicidi o insetticidi in campagna, processi di modifica organolettica in cantina, quindi aggiunta di colle o coadiuvanti, chiarifiche, microfiltrazioni, micro-ossigenazioni. L’unico intervento consentito è quello dell’aggiunta di solfiti, un po’ perché si tratta di un prodotto naturale della fermentazione, un po’ perché la solforosa, aggiunta in quantità non dannose per l’organismo, rende il prodotto più stabile nel tempo.

Un esempio delle linee-guida dei prodotti naturali è che a differenza del disciplinare del biologico (un vino biologico ha quantitativi di solforosa minori di 100 mg/l (vini rossi) o di 150 mg/l (bianchi)) i produttori naturali normalmente si attestano tra i 25 e i 40 mg/l.

Altra regola non scritta, che riguarda gli spumantizzati, è la proibizione dell’utilizzo dei cosiddetti liqueur d’expedition o di ogni alterazione del dosaggio zuccherino. Quindi, in caso di spumantizzati, o dosage zéro o niente.

È vero, si tratta di principi rigidi e di ardimentosa applicazione, soprattutto in annate poco felici da un punto di vista climatico. Verosimilmente riservati a piccole produzioni in cui è possibile curare ogni aspetto della filiera, tuttavia coronata, soprattutto negli ultimi anni, da un indubbio interesse e successo di mercato, oltre che rappresentare una modellizzazione per un futuro sostenibile.

Luca Gardini

Rispondi

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.